La Via dell'Ambra Italia - Esploratori Hesperiani
giovedì 4 ottobre 2012
Viaggiare Gentilmente
di Marco Malaguti
La società moderna, tra le numerose nefandezze alle quali ci ha abituato, ci ha regalato anche la possibilità di ampliare i nostri orizzonti in maniera eccezionalmente ampia, non solo in termini intellettuali, ma anche dal punto di vista fisico. La possibilità di spostarsi sempre più velocemente verso mete sempre più lontane è senza dubbio uno dei segni più tangibili della modernità, possibilità che il Gentile deve amministrare sempre con parsimonia e mai con smodatezza, come di ogni altro bene disponibile sulla terra o nell'animo.
E' comprovato come la maggior parte della gente non si muova mossa dalla curiosità, bensì dalla "diceria".
Il turista non si reca infatti dove non sa che cosa troverà bensì dove sa già quasi tutto del luogo, poichè egli non ha alcun interesse a scoprire nuove realtà, bensì a consumare un certo tipo di prodotto, quand'anche esso sia emozionale o culturale, già selezionato, un costume, se ci pensiamo, ben figlio della società dei costumi nella quale viviamo. Siamo qui lontani anni luce da quel viaggiare di cui giovani inglesi e tedeschi si fecero cultori tra settecento ed ottocento, esplorando l'Italia, veri e propri maestri di come si può conoscere l'Anima di un luogo, non passandoci, ma vivendoci, seppur in maniera temporalmente transitoria.
Si badi bene che qui non si parla di vivere nel senso di "stabilirsi in un luogo", bensì di vivere nel senso più completo del termine, ossia andando a fondo nella nuova realtà nella quale ci troviamo, fin negli aspetti più intimi o insignificanti. Il vivere in un luogo, non significa necessariamente abitarci, bensì anche svolgere, per un determinato periodo le proprie funzioni vitali all'interno di questo nuovo territorio. Questo implica che il viaggiatore Gentile si deve armonizzare alla Terra che si troverà a visitare in maniera totale, aprendo le porte ad un'osmosi positiva tra la propria anima e quella Cittadella Spirituale al centro del cuore dove egli conserva le memorie, la storia e la natura atavica della propria Terra d'origine, immutabile e incancellabile da qualsiasi suggestione, per quanto potente essa possa essere.
Il viaggiatore Gentile, che è anche lo stereotipo dell'Esperiano, respira l'aria del nuovo paese, beve l'acqua delle sue fonti, si nutre dei suoi frutti, che provengono dalla terra, dall'acqua e dall'aria di quel paese, e che sono stati cotti su fuochi ardenti legna di quel paese; egli dunque prende con grazia, e perciò, in quanto Gentile egli dovrà prima di ogni altra cosa, appena messo piede nella nuova terra da visitare, o nella quale transitare, compiere il rito di omaggio al Genius Loci, il quale non ha solamente la funzione di Saluto verso la Forma Locale degli Dei , bensì, più concretamente è anche e soprattutto l'omaggio e la richiesta di Clementia agli spiriti locali, entità enigmatiche e misteriose, che vanno dalle forme più banali di ombre fino
a vere e proprie Divinità, per il disturbo e la disarmonia che il visitatore sta temporaneamente creando.
Ogni uomo, muovendosi dalla terra in cui nato crea, volente o nolente, una piccola disarmonia, disarmonia che la ritualità romano-italica consente di ovviare e riparare attraverso il semplice omaggio del quale si è parlato poc'anzi. E' da sottolineare come probabilmente una consistente parte del degrado mentale che porta al dissolvimento del senso di Patria nel concetto di Sangue e Suolo, in favore di ben peggio, sia dovuto anche al secolare vizio di non curarsi più, o di non farlo nella maniera più ottimale, di riarmonizzare le perturbazioni sottili che creiamo allontanandoci e muovendoci dalla nostra sede naturale, nella quale, quand'anche non la capissimo, è bene ricordare che siamo nati con un preciso scopo nel grande copione teatrale dell'esistenza. Il viaggiatore Gentile, essendo riconoscente verso la Natura, è certo che egli amerà immergersi in essa ed ammirarla nelle sue differenze e somiglianze anche quando si troverà a viaggiare in un nuovo territorio. Una delle tante domande che egli si potrà porre, è senza dubbio "quale dio abita qui? E i miei Dei sono anche qui oppure permeano solamente la mia terra?". Il buon pagano sa molto bene come tutti gli Dei derivino dalla medesima vibrazione primigenia, che se vogliamo possiamo individuare, in maniera più romana, nel Deus Deorum Ianus, e che essa, come una luce attraverso un diamante, riflette in maniera differente a seconda della sfaccettatura attraversata, nonchè rispetto al punto dalla quale ci apprestiamo all'osservazione. Se la luce apparirà diversa, per intensità e colore, anche gli Dei, che sappiamo essere ogni singola sfaccettatura del diamante, ci appariranno diversi mano a mano che ci spostiamo attorno al diamante. E' per questo motivo che ogni popolo ha ravvisato sfumature diverse, se non proprio connotazioni differenti a tanti Archetipi - forza presenti nella Natura che ci troviamo ogni giorno ad osservare. Per questo motivo il Pagano, uomo centrato e Colto, nel senso nobile di questa parola, è a conoscenza del fatto che gli Dei della sua terra d'origine sono sempre attorno a lui in quanto presenza ma non sono attorno a lui in quanto rappresentazione. Gli Etnarchi del gentile in viaggio sono in lui, ma non attorno a lui; sono attorno a lui solamente se consideriamo le forze primigenie in quanto tali, prima che arrivino al prisma adamantino, le quali sono la Vera Natura delle Divinità. Per cui, alla seconda domanda postasi sopra, il pagano risponde "entrambe le cose" senza nessuna incoerenza. Tuttavia, il pagano che si rivolgerà alle Divinità, per un qualsiasi motivo, trovandosi fuori dalla sua terra natìa, si curerà di abbinarvi, quando possibile, gli appellativi e le sfumature più aderenti a luogo nel quale sta vivendo piuttosto che la pedissequa ripetizione della ritualità "casalinga", e questo non solo per ragioni di armonizzazione o di rispetto verso le Realtà locali, aspetti mai sottolineati abbastanza, quanto anche per una ragione essenzialmente pratica: come spostandoci da un luogo all'altro dobbiamo cambiare frequenza radio per captare in maniera distinta una stazione, così il celebrante deve saper giostrare bene l'aspetto locale e quello d'origine onde utilizzare al meglio il canale appena aperto.
Per qualunque ragione il nostro viaggio venga compiuto si trovi il tempo di esplorare, il nuovo luogo nel quale ci troviamo. Ci si prenda il lusso del coltivare un sano otium nel luogo dove si è appena giunti, onde sintonizzarsi meglio su tutti i particolari che spesso più ci sfuggono, per esempio i suoni, i profumi, il clima, e tutte le vibrazioni che, tutte assieme, sono il respiro del Genio Locale.
Evitiamo quindi di correre come forsennati, come fanno i turisti, da un monumento nazionale all'altro, ormai trasformati quasi ovunque in attrazioni da luna park o in tornelli per "studenti" ignoranti la cui sola aspirazione è la maratona alcolica del dopocena. Paganamente cerchiamo il Genio del luogo nelle strade poco frequentate, nei piccoli paesi di campagna, nella forma di una finestra, nella foggia della tenda dietro di essa, nello spiovere di un tetto o nell'odore di un'osteria, poichè questa è la Quotidianità Tradizionale vissuta ogni giorno da un Popolo, mentre il Monumento Nazionale, quand'anche azione faustiana tesa all'infinito, si trova momentaneamente sclerotizzata in una musealizzazione snaturante della quale forse, non tutti sono innocentemente inconsapevoli. Cerchiamo dunque la realtà e non l'eccezione, perchè solo chi ha il coraggio e la pazienza di immergersi nell'ordinarietà di una terra, di una nazione, avrà poi non solo la voglia, ma anche l'emozione estatico-orgasmica di comprendere i guizzi di esse verso l'Eternità e di capirne gli scopi. Sostituire così lo stupore dell'ignorante, ossia la Sindrome di Stendhal, con l'Estasi del Sapiente (colui che conosce).
Non è infatti fuori luogo parlare di approccio seduttivo, tra la terra visitata ed il viaggiatore. Esso può andare a buon fine o meno, ma sempre di un unione, suggellata dallo scambio di Energie e non solo, si tratta. Si trovi finalmente il coraggio di scambiare parti di sè con la Terra che già ci offre le sue. Solo la lingua di un popolo può portarci alla conoscienza della sua anima più vera, non solo ascoltiamo musica in lingua, ci sforziamo di leggere in lingua locale, ma proviamo altresì a parlarla, a viverla a captare nella fonetica delle singole parole tracce di quella sfumatura che riverbera del diamante divino che su di noi riflette la luce primigenia dell'universo. Evitiamo il più possibile le lingue franche, veicolo di modernità e omogeneizzazione e cerchiamo di approfondire le lingue locali. Rivolgiamoci in lingua locale alle persone con le quali ci troveremo a rapportarci, esse, nella maggior parte dei casi, non si indisporrano cogliendo la nostra scarsa competenza, ma apprezzeranno la nostra volontà di armonizzarci alla loro realtà, sentendosi apprezzate. Stabiliremo, quindi, un contatto.
Se noi siamo in cerca dell'Armonia con il luogo che visitiamo, e noi sappiamo che siamo ciò che mangiamo, sforziamoci, in visita in altre località, di slegarci dalle catene dell'opprimente familismo alimentare che affligge gli Italiani, e di provare non solo ad assaggiare od a gustare le pietanze locali (cibi, prima di tutto, e non specialità), bensì nutriamocene. Il Gentile, nell'atto del cibarsi di una pietanza Straniera visualizzi, se li conosce, gli ingredienti che la compongono, visualizzi il crescere di una verdura, il suo venire dolcemente
allevata dal sole di quei luoghi, connotato espressamente di diverse sfumature (Il Sole, maschile in Italiano, Die Sonne, femminile in Tedesco), il sapore dell'acqua e il rumore di quelle piogge, che ogni viaggiatore accorto saprà che sono differenti da luogo a luogo. Il Sole, sostantivo maschile nella lingua italiana, è il sole rovente del Mediterraneo, il giovane dio Sol, che trionfa come giovane guerriero incoronato di fiamme il giorno del Solstizio d'Estate, die Sonne è il gentile sole nordico che non scotta ma accarezza, discreto,
dolce come una Donna.
Si visualizzino le mani che con Amore hanno modificato quel Dono della Natura, portandolo a noi nella sua locale sfumatura, e si tenga a mente, che la forza che ha permesso a quelle mani di impastare, modellare, mescolare ciò che mangiamo esiste perchè la stessa terra ha nutrito da sempre i
muscoli di quelle mani, ed in quel momento, noi effetuiamo una vera e propria "comunione" con la Terra ed il Popolo che stiamo visitando, presso il quale viviamo. Idem per ciò che si beve. Se dobbiamo nutrirci di prodotti impastati o creati industrialmente, tanto varrebbe cercare di rimanere a casa piuttosto che di muoverci, non ne troveremo alcun arricchimento; sforziamoci perciò, esplorando assolutamente a casaccio, di trovare luoghi veri e vivi, che non è necessario che siano "tipici", termine che ha molto il sapore del museo, ma che rappresentino bene la vita quotidiana di quel Popolo, di quella Terra, ancora non contaminata dal germe della modernità. Cerchiamo di ascoltare la musica dei luoghi che stiamo attraversando, capiamone i testi e mettiamoci in sintonia con le vibrazioni che ogni strumento ci comunica, con l'epoca in cui è stato
scritto, e anche con cosa può ispirarci per il futuro. Onde metterci meglio in sintonia con tutti questi aspetti, approcciamoci anche, sempre con la giusta misura, alla tanto vituperata pratica del viaggiare individualmente, poichè così apprenderemo meglio il silenzio e ci troveremo al di fuori della nostra comunità.
Il trovarsi al di fuori della nostra comunità non può che portarci, per forza di cose ad aprirci all'esterno, in questo caso il luogo che visitiamo, portandoci a diventare maggiormente ricettivi verso tutto ciò che gravita attorno a noi. Per certi aspetti dunque la solitudine è la condizione propedeutica per l'assorbimento di quanti più elementi possibili del nuovo luogo nel quale ci troviamo. La presenza dei Compagni di Viaggio, a sua volta favorisce la condivisione di ciò che si assimila, esattamente come mangiare in compagnia rende più piacevole il banchetto, ma non soltanto riceviamo piacere, ma attraverso gli altri possiamo cogliere ancora più sfumature, che alla nostra personale sensibilità possono essere sfuggite o sono state interpretate in
altro modo, il tutto senza mai snaturare la nostra Natura o ancor peggio rinunciarvi, il che ci porterebbe prima di tutto a negare l'evidenza: non possiamo infatti cambiare la nostra materia prima, possiamo solamente
rinnegarla o far finta di non vederla, ed in secondo luogo a perdere la condizione di Pax Deorum stipulata con gli Dei della nostra Terra, che hanno contribuito alla costituzione non solo della nostra anima ma anche del nostro corpo fisico. Viaggiare, e non spostarsi. Unirsi, scambiare, mai mutare. Così deve riscoprire il senso del Viaggio l'uomo tradizionale Gentile e in special modo l'Esploratore Hesperiano, dicitura nella quale sottolineo energicamente il termine esploratore, poichè il termine è stato coniato proprio pensando a
questo tipo di approccio al viaggio e non certo pensando al navigatore, all'astronauta o peggio, al pioniere della Repubblica Democratica Tedesca. Solo colui che viaggia con coscienza può essere aiutato, da questa possibilità messaci di fronte dalla modernità, a comprendere meglio sè stesso e ciò che è, quindi anche la sua Terra ed i suoi Dei, mentre colui che non viaggia ma si sposta (con tutta l'accezione di "trasloco" -di abitudini, frustrazioni, pulsioni- che esso comporta), come i turisti fanno altro non potrà fare che contribuire all'edificazione, oltre che all'essere vittima, di una società sempre più succube allo snaturamento economicistico, alla de-sentimentalizzazione, alla mancanza di intimità ed infine alla più totale, triste e sterile omogeneizzazione, prima che di Culture, di Sensazioni, portando così il Monoteismo al di fuori del piano meramente dottrinale, fino alla sua sintesi più concreta, vale a dire la realtà quotidiana, mettendoci di
fronte a tutta la sua intrinseca pochezza quando però sarà ormai troppo tardi.
venerdì 27 aprile 2012
Rimanenze pagane nei Canti di Maggio della tradizione contadina in Frignano e nell’Alta Italia
"Rimanenze pagane nei Canti di Maggio della tradizione contadina in Frignano e nell’Alta Italia"
da Arya n°2; di: Fedrìgh dij Bèli (Federico Fregni)

Alla ricerca della persistenza dei rituali di Maggio nella nostra Penisola ci siamo ritrovati nuovamente nel Frignano, vale a dire l’alto Appennino Modenese, terra ricca di Tradizione e magia particolarmente cara al nostro Sodalizio, dove rivivono nei volti, nei nomi locali di cose e luoghi, nelle leggende e tradizioni e persino nella cucina praticamente tutte le diramazioni etniche e tradizionali che hanno contribuito a forgiare la particolarità di questa contrada appenninica, Celti, Liguri e Romani in primis, ma anche remote influenze Etrusche e più tardive commistioni Germaniche. Ascrivibili alle tracce che la Romanità ha lasciato nel Frignano sono probabilmente le tradizioni legate al Cantar di Maggio, festeggiamenti di natura canora e celebrativa. Queste feste contadine, diffuse non solo nel Frignano ma in tutta l’Alta Italia da Umbria e Toscana fino a Piemonte e Lombardia passando per la Liguria, con probabile epicentro nell’etno-regione delle Quattro Province sono grosso modo identificabili in due filoni principali, uno di aspetto ‘civile’ e giulivo, l’altro di aspetto legato alla sfera religiosa e funebre, attinente ad un altro e maggiormente inquietante aspetto che andremo a discutere in seguito.
Al filone ‘civile’ e popolare delle festività di Maggio troviamo nel Frignano e in particolare nella contrada di Riolunato (Ardunndlà) le tradizioni canore del Maggio delle Ragazze e delMaggio Epico (o” drammatico”). Trattasi il Maggio delle Ragazze di un piccolo componimento in quartine esprimente gli affetti inspirati dalla fiorente Primavera, che i giovani di Riolunato cantano, l’ultima sera d’Aprile, accompagnati da un concerto di violini, sotto alle finestre delle loro amanti a guisa di serenata, dopo aver fatto una sorta di saluto alle autorita’ del paese, vale a dire, al giorno d’oggi, al sindaco e al parroco. Includiamo qui il testo della canzone, anche se vi e’ da dire che alla stessa sono sempre aggiunte strofe improvvisate o piccole poesie, sovente in lingua locale, che non sono state raccolte dalle nostre fonti.
Ecco il ridente maggio
ecco quel nobil mese
che sveglia in alte imprese
i nostri cuori.
È carico di fiori
di rose e di vïole
dipinge come suole
ogni riviera.
Ecco la primavera
ecco il tempo novello
tornar più che mai bello
e più giocondo.
Ecco che tutto il mondo
si riempie d’allegrezza
di gaudio e di dolcezza
e di speranza.
La va per ogni stanza
la vaga rondinella
in questa parte e in quella
a farsi un nido.
Fanciullin cupido
che per noi spiega l’ale
con arte tien lo strale
e le saette.
In ordine si mette
per salutar le ninfe
per salutar le ninfe
e varï augelli.
Ecco i pastorelli
co’ loro ardenti cani
intorno alle campagne
e Largo i campi.
Torniamci a ritrovare
in bel maggio fiorito,
che di nuovo fa invito,
qui al ritorno.
Questa versione, risalente all’800 e’ la più vecchia reperibile tra le trattazioni etno-musicologiche a noi pervenute. Un manoscritto dell’epoca recita, a commento del testo: “Questi sono i versi così detti maggio che cantano tutti sopra al medesimo versetto, poi aggiungono qualche piccola stroffa da loro improvisata, adatta alle circostanze. Ciò poi da luogo ad una delle più strepitose veglie, di lusso, montanine, poichè le ragazze a cui fu’ cantata la poesia, e fu loro dedicata qualche improvisata stroffa, che i toscani chiamerebbero rispetti, danno mano a manipolare dei dolci; e convenuto poi il giorno della festa, i giovani con solenne processione vanno a prendere queste torte e portandole, quali troffei in trionfo, fra gli allegri brindisi ed il rumore che soffoca il suon degli strumenti a corde si conducono nella sala a bella posta apparecchiata e quivi celebrato un solenne banchetto passano alla danza finché stanchi poi ritornano alle proprie case contenti di avere anche per quell’anno esaurito il loro programma»

E’ da notare la particolarità per cui il maggio delle ragazze e’ cantato in italiano, perlomeno già dall’800, in una contrada in cui la lingua locale differisce notevolmente da quella nazionale conservando palesi connotazioni gallo-romanze. Ma c’è di più: nel 1911 il Nascinbeni, letterato e studioso di usanze locali, dimostrerà la derivazione dei Maggi attuali da un piccolo componimento di Giulio Cesare Croce, vale a dire la “Canzonetta da cantarsi per le fanciulle nell’entrata del bel Mese di Maggio, su l’aria di A piè d’un colle adorno”. La poesiola del Croce la troviamo in parte storpiata dalla trasmissione orale, e in parte adattata alla pronuncia locale come, in differenti versioni attraversa, tutta l’area di diffusione delmaggio delle ragazze. Come mai una tradizione cosi’ antica, attestata almeno dal ‘300, utilizza un testo cosi’ relativamente recente? La poesiola del Croce deve essere stata introdotta per la sua semplicità ed agreste bellezza, facilmente comprensibile anche dal popolo, ad opera di un paesano istruito, o forse da parte di un sacerdote o di un aristocratico, in un qualche momento dell’era moderna, precedentemente ai primi manoscritti ottocenteschi. Probabilmente la natura improvvisata dei Cantar di Maggiofaceva si che i componimenti variassero di anno in anno, fino alla messa in musica della canzone del noto letterato persicetano, che ebbe un notevole successo nel ‘800 e nel ‘900 ed ancora oggi, complice forse l’essere in quella lingua franca che sempre più persone cominciavano ad apprendere e l’opera di diffusione instancabile dei musicisti erranti, e che si diffuse rapidamente in tutto l’arco appenninico settentrionale. Un’altra ipotesi, che resta nella pura speculazione, potrebbe essere quella di un Giulio Cesare Croce che trascrisse a sua volta un Cantar di Maggio del suo periodo, proveniente dall’area toscana o comunque dall’Italia peninsulare a sud dell’Appennino. Musicalmente vi e’ da dire che il Maggio delle Ragazze, nonostante sia un canto intrinsecamente legato al centro-nord-ovest del Paese, suona forse atipico tra la musica tradizionale emiliana, risultando apparentemente simile a soluzioni musicali dell’Italia centrale. In ogni caso ci piace pensare che la canzonetta del Croce sia stata scelta come canzone topica dei riti paesani del Maggio proprio in virtù del suo essere estremamente vicina allo spirito originario e pre-cristiano delle celebrazioni di Primavera, con tutti i suoi rimandi paganeggianti a ninfe, pastori, cani da caccia e amorini, non importa se questo sia avvenuto in maniera consapevole o meno.

Torniamo quindi agli aspetti tradizionali che i nostri Avi attribuirono al mese di Maggio. Sia tra i Celti che nel mondo Italico-Romano, oltre al tema della fertilita’ primaverile, troviamo anche altri aspetti, se vogliamo maggiormente inquietanti ma non per questo meno presenti, a proposito della natura sottile di questo Mese. Specularmente opposta e complementare a Samonios, festa dei morti attorno ai primi di Novembre, Beltane è una porta aperta sull’Altro Mondo, il gaelico Sidhe. Il folklore europeo, in particolare quello relativo alla Notte di Valpurga, parallela festività tedesca rimanenza di più antiche celebrazioni germaniche, mette in guardia dai ‘morti insoddisfatti’, defunti privati della degna sepoltura o morti in modo traumatico, che infesterebbero le campagne e i boschi nelle notti di Primavera, in maniera analoga alla ‘Caccia Morta’ che secondo la tradizione europea anche nord-italica prende luogo ad Ognissanti. Le precauzioni verso ombre e spiriti maligni e’ probabilmente di origine indoeuropea antichissima o addirittura precedente e la ritroviamo nella Tradizione Romana con l’usanza di stornare i cattivi influssi dei lemuri, morti insoddisfatti, nelle celebrazioni private dei Lemuralia, usanza tra le più antiche di Roma, che si attribuisce a Romolo stesso, celebrata il 9, l’11 e il 13 di Maggio dal paterfamilias, che pronunziando le debite formule gettava alle spalle nove fave di colore nero. Anche questa tematica sopravvive nei riti agresti di Maggio del Frignano e dell’Alta Italia; troviamo, sempre a Riolunato, il caso esemplificativo del Maggio delle anime purganti, dai tratti maggiormente ritualistici e inerenti alla religiosità ufficiale. Si tratta di un componimento canoro che viene cantato la prima domenica di Maggio in processione al seguito del parroco, in cui si narra delle anime insoddisfatte del purgatorio, e si esortano i concittadini a donare piccole somme destinate alla liturgia in onore dei defunti. Per la semplice ragione che la religione ufficiale, il Cattolicesimo, probabilmente a partire dalla Controriforma, non poteva tollerare che alla sfera dei defunti ci si appellasse con ritualità ‘profane’ e di origine pagana, il Maggio delle anime purganti appare come notevolmente aderente ai canoni cristiani, e deve essere presieduto da un prete cattolico. In ogni caso lo stornare i defunti insoddisfatti, le anime meschine, proprio in occasione della prima meta’ di Maggio chiarisce un ulteriore tassello per identificare l’entità della sopravvivenza di tematiche pagane nel nostro Appennino.
Gli Esploratori Hesperiani, come già specificato nello scorso numero, non si approcciano a questi temi del folklore con la nostalgia un po’ ignava del folklorista o del cantautore di sinistra, ma bensì, pur sottoponendo il materiale dell’esperienza folklorica locale alla metodologia gerarchica degli studi Tradizionali, considerano questa materia come viva, attualizzabile e riproponibile nel contesto comunitario che si intende ricostruire. Noi crediamo che quando torneremo a cantare con forza le arie delle nostre tradizioni e vivere pienamente i nostri luoghi con la consapevolezza e la profondità di chi ha ricercato laReligio dei propri Avi, allora potremmo riconoscerci come pagani e Gentili, e non più ingabbiati nelle prigioni di mai esistito marmo bianco e vuote lettere in cui l’umanismo, la modernità e il cristianesimo hanno imprigionato lo spirito dei nostri Padri.
AMBRONES!
Fedrigh éd Bèli
lunedì 16 gennaio 2012
AMBRONES!
Oggi, 16 Gennaio 2012 dell'Era Comune, 2764 a.U.c, inauguriamo ufficialmente il Blog Ufficiale degli Esploratori Hesperiani. Questo blog, affiancato dalla nostra pubblicazione interna 'Arya', rappresenterà la voce ufficiale del nostro Sodalizio giovanile e terrà informati delle nostre Attività ed Eventi i nostri Sodali, gli amici ed i semplici curiosi; ripubblicheremo altresì sul blog tutti quegli articoli già apparsi su Arya ed in rete che reputiamo più significativi ed importanti, trasformando questo spazio in un piccolo archivio di quanto abbiamo fatto, facciamo e faremo prossimamente.
Nell'antico Calendarium Romano-Italico di periodo augusteo cadevano oggi le Feste della Dea Concordia; con questo pensiero nel cuore, ci auspichiamo che Concordia regni tra le varie anime della rinascita pagana-gentile Europea; una data propizia per fare la nostra piccola parte, inaugurando questo spazio, che auspichiamo essere utile non solo ai nostri Sodali e a chi già ci conosce, ma anche a tutti coloro che su vari fronti si impegnano per la spiritualità autoctona delle nostre terre, per l'integrità della nostra Natura, per la salvaguardia delle nostre tradizioni, lingue ed etnie.
Questo blog apre altresì una fase di rinnovamento per noi Esploratori in cui i Gruppi Regionali sono ampliati e dotati di maggior autonomia, la rivista sta acquisendo una nuova veste e sarà più facilmente rintracciabile, tutte le nostre principali quattro attività hanno trovato le persone responsabili che possono seguirle con la serietà meritata ed è stato dedicato ad esse almeno un incontro; dopo due anni e mezzo di attività, ci sentiamo di dire che, nonostante gli aspettati problemi e resistenze di ogni tipo, i sogni di quel Solstizio d'Estate in cui tutto fu immaginato e pensato hanno acquisito una solida base per realizzarsi.
L'anno appena cominciato sarà all'insegna di nuovi Eventi, celebrazioni ed incontri, nelle nostre Regioni ed ovunque vi siano liberi e giovani Europei che vogliano unirsi al nostro sogno.
Raccontava Plutarco che nel 102 aev, in Provenza, si trovarono ad affrontarsi due eserciti nemici: da una parte le legioni Romane di Caio Mario ed i suoi alleati provenienti da varie parti della penisola italica, dall'altra una avanguardia germanica di Teutoni, alleati a numerose popolazioni celtiche, belgiche e celto-liguri che li avevano seguiti nelle loro migrazioni. Come avveniva spesso nelle battaglie tra popoli Indoeuropei, le schiere contrapposte innalzarono le loro grida di battaglia, che spesso altro non erano che i nomi stessi delle popolazioni. "Ambrones!" gridarono gli ausiliari Celto-Liguri dei Romani, provenienti dalle attuali Liguria, Lombardia, Emilia e Piemonte; "Ambrones!" rispose inaspettatamente dalla parte opposta una parte del contingente nemico: se 'Ambroni', 'genti dell'ambra', era il nome collettivo di una parte dei Liguri italici, questo era anche il nome di un popolo del Nord-Europa, di ascendenza incerta, Celta o forse Germanico, alleato dei Teutoni.
Le due genti si guardarono sconcertate, poiché avevano lo stesso nome, e si sa, per i popoli antichi il nome era spesso anche segno di comuni antenati, di comuni origini. Due popoli Celti, chiamati entrambi 'Insubri', incontrandosi, avevano fondato Milano qualche secolo prima, riconoscendosi nel nome. Questi due popoli, entrambi chiamati 'Ambroni' erano l'uno di fronte all'altro a disputarsi le rive di un fiume, separati ormai dalla lingua, da distanze per l'epoca enormi, dalle reciproche alleanze; eppure, quasi sicuramente, avevano in comune se non antiche origini remote, perlomeno un archetipo, ricorrente nel loro nome. Questo non impedì ai due popoli di combattere in quella battaglia, che vide vincere l'esercito romano, e di essere nemici come per secoli e secoli lo furono tra loro gli Europei anche all'interno delle stesse nazioni, tormentati da vere e proprie guerre fratricide millenarie. A noi piace però pensare che quell'attimo di sorpresa e stupore negli Ambroni di ambo le parti sia lo stesso che colpiva gli antichi quando popoli lontani si riscoprivano come parti mancanti di un comune arazzo, di una comune Stirpe, di una comune Tradizione, e perciò abbiamo fatto di questo grido antico il nostro saluto, con cui vogliamo concludere questa breve presentazione.
Nella antica terra di Hesperia, terra del tramonto, si accendono nuovamente i fuochi della gioventù pagana; si incontrano genti, storie, lingue e dialetti diversi dalle celtiche Alpi Cozie ai vulcani bagnati dall'acque salate del Mediterraneo, dal Tarvisio angusto da cui entrarono Slavi e Longobardi fino all'Urbe Eterna baciata dal Sole Invitto; si accendono i fuochi, uno dopo l'altro, in guisa di segnale, di cima in cima, di foresta in foresta, di paese in paese; risuona il saluto di Genti che si ritrovano nuovamente Sorelle, questa volta per combattere assieme; La Via è di nuovo aperta, e gli Dei assistano chi intraprenderà la strada che porta alla Stella fissa al centro dell'Essere.
AMBRONES!!!!
...e Benvenuti AD HESPERIAM...
Nell'antico Calendarium Romano-Italico di periodo augusteo cadevano oggi le Feste della Dea Concordia; con questo pensiero nel cuore, ci auspichiamo che Concordia regni tra le varie anime della rinascita pagana-gentile Europea; una data propizia per fare la nostra piccola parte, inaugurando questo spazio, che auspichiamo essere utile non solo ai nostri Sodali e a chi già ci conosce, ma anche a tutti coloro che su vari fronti si impegnano per la spiritualità autoctona delle nostre terre, per l'integrità della nostra Natura, per la salvaguardia delle nostre tradizioni, lingue ed etnie.
Questo blog apre altresì una fase di rinnovamento per noi Esploratori in cui i Gruppi Regionali sono ampliati e dotati di maggior autonomia, la rivista sta acquisendo una nuova veste e sarà più facilmente rintracciabile, tutte le nostre principali quattro attività hanno trovato le persone responsabili che possono seguirle con la serietà meritata ed è stato dedicato ad esse almeno un incontro; dopo due anni e mezzo di attività, ci sentiamo di dire che, nonostante gli aspettati problemi e resistenze di ogni tipo, i sogni di quel Solstizio d'Estate in cui tutto fu immaginato e pensato hanno acquisito una solida base per realizzarsi.
L'anno appena cominciato sarà all'insegna di nuovi Eventi, celebrazioni ed incontri, nelle nostre Regioni ed ovunque vi siano liberi e giovani Europei che vogliano unirsi al nostro sogno.
Raccontava Plutarco che nel 102 aev, in Provenza, si trovarono ad affrontarsi due eserciti nemici: da una parte le legioni Romane di Caio Mario ed i suoi alleati provenienti da varie parti della penisola italica, dall'altra una avanguardia germanica di Teutoni, alleati a numerose popolazioni celtiche, belgiche e celto-liguri che li avevano seguiti nelle loro migrazioni. Come avveniva spesso nelle battaglie tra popoli Indoeuropei, le schiere contrapposte innalzarono le loro grida di battaglia, che spesso altro non erano che i nomi stessi delle popolazioni. "Ambrones!" gridarono gli ausiliari Celto-Liguri dei Romani, provenienti dalle attuali Liguria, Lombardia, Emilia e Piemonte; "Ambrones!" rispose inaspettatamente dalla parte opposta una parte del contingente nemico: se 'Ambroni', 'genti dell'ambra', era il nome collettivo di una parte dei Liguri italici, questo era anche il nome di un popolo del Nord-Europa, di ascendenza incerta, Celta o forse Germanico, alleato dei Teutoni.
Le due genti si guardarono sconcertate, poiché avevano lo stesso nome, e si sa, per i popoli antichi il nome era spesso anche segno di comuni antenati, di comuni origini. Due popoli Celti, chiamati entrambi 'Insubri', incontrandosi, avevano fondato Milano qualche secolo prima, riconoscendosi nel nome. Questi due popoli, entrambi chiamati 'Ambroni' erano l'uno di fronte all'altro a disputarsi le rive di un fiume, separati ormai dalla lingua, da distanze per l'epoca enormi, dalle reciproche alleanze; eppure, quasi sicuramente, avevano in comune se non antiche origini remote, perlomeno un archetipo, ricorrente nel loro nome. Questo non impedì ai due popoli di combattere in quella battaglia, che vide vincere l'esercito romano, e di essere nemici come per secoli e secoli lo furono tra loro gli Europei anche all'interno delle stesse nazioni, tormentati da vere e proprie guerre fratricide millenarie. A noi piace però pensare che quell'attimo di sorpresa e stupore negli Ambroni di ambo le parti sia lo stesso che colpiva gli antichi quando popoli lontani si riscoprivano come parti mancanti di un comune arazzo, di una comune Stirpe, di una comune Tradizione, e perciò abbiamo fatto di questo grido antico il nostro saluto, con cui vogliamo concludere questa breve presentazione.
Nella antica terra di Hesperia, terra del tramonto, si accendono nuovamente i fuochi della gioventù pagana; si incontrano genti, storie, lingue e dialetti diversi dalle celtiche Alpi Cozie ai vulcani bagnati dall'acque salate del Mediterraneo, dal Tarvisio angusto da cui entrarono Slavi e Longobardi fino all'Urbe Eterna baciata dal Sole Invitto; si accendono i fuochi, uno dopo l'altro, in guisa di segnale, di cima in cima, di foresta in foresta, di paese in paese; risuona il saluto di Genti che si ritrovano nuovamente Sorelle, questa volta per combattere assieme; La Via è di nuovo aperta, e gli Dei assistano chi intraprenderà la strada che porta alla Stella fissa al centro dell'Essere.
AMBRONES!!!!
...e Benvenuti AD HESPERIAM...
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